Focus On :: 3 ott 2022

Golden View - Alta cucina e vini “dell’altro mondo”

A Firenze, l’eccellenza enogastronomica

“Mangiare è una necessità, mangiare intelligentemente è un’arte” - sosteneva La Rochefoucauld. Mangiare di qualità è certamente una grande opportunità ed è ciò che accade quando si varca la soglia di una delle migliori offerte gastronomiche della città del Giglio. Stiamo parlando del magnifico locale “Golden View”, affacciato sul Ponte Vecchio (1), dove lo chef Paolo Secci, sardo doc, interpreta ogni volta in modo memorabile prodotti della terra e creature del mare regalando, esperienze magiche al palato, qualunque sia la stagione di riferimento, per un menu diverso anche più di 4 volte l’anno.

Ma “Golden View” è prima di tutto espressione di una sinfonia di più elementi, o meglio di diverse teste pensanti, voci e strumenti, in perfetta armonia tra loro: tutto funziona all’unisono, senza sbavature, per il gusto, certo ma anche per l’ospitalità, la professionalità, la profonda conoscenza. Dicevamo Secci, valga un suo piatto, tra gli altri, che alcuni giorni fa abbiamo potuto apprezzare. Tempura di scampi su spuma di patate al tartufo scorzone (2). In realtà un antipasto, ben bilanciato, semplicemente squisito: si sarebbe potuto iniziare e finire con questa musica e restare appagati comunque. Come uno dei “Preludi” di Bach, da ascoltare in loop, ancora e ancora. E che dire delle creazioni a vista del pastry chef Michael Pellegrini? Suo il Lingotto al cioccolato (3) di scuola torinese, ganasche di cioccolato e gianduia, con mousse al caramello. “La cosa vincente è la semplicità, piuttosto che aggiungere si va a togliere”, ci ha precisato Pellegrini. Nulla da obiettare, sopratutto se i risultati sono di questo livello.

E poi c’è lui, il Wine manager Paolo Miano, preparatissimo, empatico, sempre con la parola giusta per chiunque entri o sieda al tavolo del ristorante. Con garbo e savoir faire che - siamo certi - gli arrivano dalle sue origine sicule. E’ ovunque. Un momento parla con degli ospiti coreani, un secondo dopo versa un calice a degli americani poco più in là. E da buon “sommelier narratore” incanta, consiglia, erudisce sui tantissimi vini conservati (ma non per molto) nella Cantina del locale, la seconda più importante in centro città. Merita spendere due parole su questo spazio di Bacco, inserito in un fondo del ‘400 e appartenuto alla famiglia fiorentina dei Bardi. Una cantina che non t’aspetti, dove la vista delle bottiglie lascia di stucco. Oltre 100 mq che accolgono circa 8.000 etichette, molte pregiate, diverse di grande formato, disposte su scaffalature di design. Dalla Tenuta di Trinolo, a Gaia, alle magnum di Soldera, al superlativo Amarone firmato Quintarelli. E ancora… Le verticali fino al ’69 di Biondi Santi, la verticale intera di Masseto, e molto, molto di più. Qualche chicca da asta non manca. E poi c’è l’altra metà del globo, nuova, decisamente interessante che, proprio la Pandemia ha fatto scoprire a un pubblico sempre più vasto e “curioso” di sperimentare. Vini sudafricani e sudamericani, mix tra tradizioni europee e Nuovo Mondo. Ebbene, Miano ci ha deliziato con alcuni nettari in abbinamento alle portate di Secci. Nulla di ardito o stonato, come il gradevolissimo Sauvignon Blanc in purezza “Porcupine Ridge” (4) della cantina sudafricana Boekenhoutskloof. Fresco, fragrante, di ottima concentrazione e acidità equilibrata. Ancora… il vibrante “fratello” forse ancor più di spessore, Reyneke Organic Sauvignon Blanc 2020. La regione è quella dello Stellenbosch spesso chiamata la Napa Valley del Sudafrica, il nettare composto da 54% Sauvignon Blanc e 46% Semillon, convince per una bellissima mineralità e note agrumate che si accompagnano a sentori di pesca, erbe di campo. Imperdibile se gustato con degli Spaghetti al muggine mantecati al burro di Normandia, fumetto al lemongrass e caviale.

Vini che denotano personalità, da produttori che “vengono da scuola e tecnologia francesi con il cuore in Italia” - ci ha sempre raccontato Miano. “Loro in vigna hanno i cobra, noi gli ungulati”. Coté rouge, la bussola si sposta di qualche grado: Patagonia, Pinot nero, 100 metri di altezza (5), “Mara” di Bodega Mara prende spunto da un bizzarro animale argentino, noto anche come lepre di Patagonia. Rosso, raffinato, croccante, piacevolmente minerale: anche servito più fresco, esalta con eleganza uno Spada rosa del Tirreno in crosta di pane al sesamo nero (6). “La mia filosofia è sempre un passo indietro alla cucina, i vini che scelgo devono accompagnare i piatti e non prevaricarli”.

E così anche un buon calice di rosso Kloof Street dello Swartland, by Chris & Andrea Mullineux. Di nuovo in Sudafrica, 90% di Syrah, equilibrato e di buona struttura, si mostra già dal primo sorso, di ottima beva.

“Essere ristoratore vuol dire vedere le frontiere”, continua Miano, regalando altresì una scelta sufficientemente varia per una ristorazione dinamica, mai uguale a se stessa e stimolante.

Per il finale si torna in patria con un Passito di Pantelleria di Solidea che mette d’accordo tutti. Primavera, viola, vellutato, dolce ma per nulla stucchevole. Da sorseggiare in lentezza. Divino.

Viaggiare per il mondo, seduti, con un bicchiere in mano è possibile. A Golden View, è un garanzia.

 

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